Dati Tecnici Se proprio bisogna
LocalitàRecoaro Terme (VI) – Passo Campogrosso – Piccole Dolomiti
Esposizione E
PeriodoEstiva
Sviluppo8L – Partenza 1450mt – 90mt per l’attacco – 220mt di via
DifficoltàIV+/V- | Un passo di V+
ChiodaturaChiodi nei punti più difficili, da integrare
PartecipantiManu quello Scarso – Luca Fortissimo – Alessia

Introduzione – Una scelta telepatica

Questa volta la colpa è mia.

L’idea iniziale era di fare una via un po’ più complicata di quelle che avevamo fatto finora, sempre chiodata e relativamente recente ma con qualche passaggio di sesto, perciò in settimana sento Luca (che è sempre una garanzia) e gli propongo un paio di vie in piccole. Lui accetta la mia proposta e mi risponde che una volta studiate le relazioni mi avrebbe detto quale avrebbe preferito.

Qualche giorno dopo mi scrive Alessia. Leggo che anche lei vorrebbe venire con noi ma preferirebbe una salita più “classica” tipo il pilastro Soldà o la Carlesso. Nello stesso momento Luca mi invia la foto delle relazioni delle vie che gli ho proposto più quella della via Carlesso. Il bello è che per quanto ne so io Luca e Alessia prima di sabato nemmeno si conoscevano! Mi dice che se io mi impegno a portar fuori le placche lui se la risolve sullo strapiombo e ce la portiamo a casa easy.

Non potendo rifiutare la chiamata alle armi ci siamo trovati sabato mattina per la conquista di una nuova via. Nuova per noi. Lei è là da quasi un secolo!

Avvicinamento – Passaggi dinamici su roccette di I e II

Parcheggiamo l’auto al rifugio di Campogrosso e ci incamminiamo verso il Baffelan: un monolite gigante nella catena del Sengio alto, questa volta non potevamo sbagliare! Arriviamo alle sue pendici e troviamo delle cordate già in coda, chiediamo se siamo nel posto giusto ma come da tradizione ci dicono che la nostra via attacca più avanti. Quindi proseguiamo arrivando alla targa di Ugo Furlani dove si comincia a salire la montagna per l’attacco della via. Cominciamo a salire queste roccette, superiamo un canalino, traversiamo una cengetta, saliamo per altre rocciette, procediamo per un’altra cenetta, poi un altro canalino… Insomma non arrivavamo più! Il che non era una buona cosa.

Non vedevo una situazione così intricata dai tempi della guglia Gei (e quella si che era intricata). Prima di oltrepassare il punto di non ritorno ci fermiamo a riflettere vicino ad un golfaro. Guardiamo la relazione, poi le foto sul cellulare, chiamiamo Luca che nel frattempo si è scalato in free solo la montagna (dice di no ma noi siamo sicuri che ne sarebbe più che capace) e capiamo di essere proprio alla base della via.

1° Tiro – 1° Parte – La titubanza

Dopo esserci spartiti i tiri comincio io, la via inizia con una placchettina a gradoni sulla sinistra della sosta di IV, leggermente spanciante. Provo a salire ma dopo due passi non me la sento di proseguire e mi faccio calare. Non accettando la sconfitta riprovo ma anche questa volta senza successo. Testardo come un mulo non mi do per vinto e dopo avere ripetuto questa sequenza cinque sei volte decido di cambiare strategia e di salire direttamente sopra alla sosta per un diedrino/fessura di V. Col senno di poi non sembra una buona idea passare per un V non riuscendo a fare un IV ma lì per lì non ho avuto altre idee. Quindi mi alzo, con il piede nel golfaro metto il frend verde nella fessura, faccio altri due passi, ma tornano le crisi esistenziali e scendo di nuovo. Ormai era diventata una questione personale, urlando “Carlesso non mi avrai!!” riprovo, questa volta prima alzandomi e poi traversando ma niente ancora.

Dopo un’ora passata spiaggiati a prendere il sole, la cordata ha deciso all’unanimità che Luca avrebbe fatto il primo tiro.

1° Tiro – 2° Parte – Umidità

Parte Luca che con “numero uno” soffi supera il primo gradino e procede verso il camino. Proprio così. Senza neanche fermarsi a salutare prima di sparire nelle rocce. Dovete sapere che il grado di difficoltà di Luca si misura in soffi e va da nessun soffio che per lui è la scala di casa ma per le per persone normali è appena fattibile, fino ai tre soffi che lo usa per superare le pareti più invalicabili. Arriva in sosta e comincia a recuperarci.

Mi riprendo dalle bastonate ricevute poco prima e recupero il frend, traverso sopra i gradoni e comincio a risalire la sponda destra del camino notando la distanza kilometrica tra un chiodo e l’altro. Dopo 5 metri circa di salita bisogna spostarsi nel camino ed entrare nel canale. Il passaggio è gradato di IV ma secondo me due gnè ci stanno tutti. Il camino era largo e liscio, bisognava cercare di restare esterni in modo da sfruttare i pochi appoggi disponibili e salire per poi entrare in un canale tutto bagnato. È da tempo che la banda vuole introdurre la gradazione per l’arrampicata bagnata che parte dal B1 che potrebbe rappresentare la rugiada mattiniera fino al B6 ovvero le Cascate Vittoria. Non le ho mai viste dal vivo ma dicono essere più che umide. 

Risaliamo il camino e montiamo nel canale non più di III ma B3 e dopo avere superato alcuni muretti troviamo un frend della via, (Luca infatti non li usa). Per giustizia lo lascio dove è e procedo a salire. Già per tutto il canale non ci sono chiodi, almeno il frend da un po’ di sicurezza in più! Ma non troppa, infatti appena la ragazza dietro di me lo ha rinviato si è staccato.

2° Tiro – Il caminetto di III

Arriviamo in sosta, ripassiamo il materiale a Luca che sale in velocità sopra alla sosta, sulla facile parete gradinata e appoggiata . Io non ho ancora riacquisito il diritto di andare da primo, non che me ne dispiacesse, anzi, se mi avessero proposto di fare il cliente non avrei rifiutato.

La paretina “tranquilla”.

La parte iniziale del tiro era effettivamente tranquilla e facile dopo però bisognava risalire un camino non larghissimo ma con le pareti avare di appoggi e strapiombanti, un pilastro in mezzo placcoso e strapiombante pure quello e un chiodo troppo in basso per essere azzerato. Proprio quello che ci si aspetta da un camino di III! In qualche maniera siamo riusciti a risolvere la situazione e ad uscire verso destra per poi arrivare in sosta.

3° Tiro – Memorie passate

Arriviamo in sosta e succedono nell’ordine queste cose: ci saltano davanti due cordate arrivati da un’altra via vicina che hanno evitato i primi tiri bagnati (del resto chi le biasima!), le cordate di pro dietro di noi ci stanno sul fiato sul collo e Luca si è ricordato di avere già fatto questo pezzo di via.

<<Perché questo pezzo?>>

<<Semplice>>

<<Siamo arrivati qui ma né io né il mio compagno ci siamo fidati a continuare e abbiamo deciso di calarci>>

<<E quindi?>>

<<E quindi è arrivato il tuo momento!>>

Tengo fede alla mia promessa, con la manovra ci scambiamo le corde e mi preparo a partire. Ho l’impressione che forse abbiamo fatto il passo più lungo della gamba! Di nuovo! Evidentemente le altre volte non ci sono bastate!

Comincio a salire stando col fiato sui talloni alla cordata davanti a me. Volevo chiedere se si poteva arrangiare una formazione a pentagono ma ho preferito non infierire sulla loro salita. Supero i gradini sulla sinistra della sosta abbastanza facili, traverso verso destra, ringrazio il tipo prima di me che indica a una sua amica dove sono i chiodi, mi raccomando che lo faccia anche con tutte gli altri o in mancanza vanno bene anche clessidre, piante, rami, ciuffi d’erba… (per la psicologia questo ed altro) E attacco con tanta cattiveria la placca di V-.

La placca nera.

Di questo pezzo di via non ricordo nulla! Non avevo un vuoto del genere neanche agli esami brutti, quelli che proprio non ne volevi sapere di studiare. Suppongo perciò dalla foto qui sopra che sono salito verso sinistra procedendo di chiodo in chiodo, non importa quanto vicini fossero e quanto la corda spigolasse, gli ho usati TUTTI! Ho dimenticato la via ma non l’imbrago che mi trancia il bacino! E come scordarselo! Ho i segni sul corpo tuttora. La placca non era il solito muretto con qualche buco dove infilare le mani ma più una parete lavorata con varie crepe, piccoli scalini, prese laterali e ciuffi d’erba. Almeno così sembra dalla figura. Superata senza troppe difficoltà procedo verso un diedrino di IV a destra, fortunatamente riesco a trovare due mani che mi soddisfino e ci salgo sopra senza fare troppi complimenti.

4° Tiro – Una clessidra è per sempre

Riprendo ancora a salire, traverso un attimo a destra e attacco lo strapiombino con arroganza e cattiveria che si sa, quella con gli strapiombi ci vuole sempre. Purtroppo, senza successo. Per riprendermi dalla batosta infilo in una fessura un nut e un frend per la psicologia e con il metodo cinghiale riesco a superare anche questo ostacolo. “Fatta” direte voi, inutile dire che siamo completamente fuori strada.

Lo strapiombino iniziale con in basso il dado psicologico e in alto un climber brocco col braccio piegato.

Mi si para davanti un diedro di V che ci fa capire che il signor Carlesso non aveva nulla da imparare e già nel ‘35 con gli scarponi arrampicava molto meglio di noi.

Non che ci voglia molto ad essere più bravi di noi.

Nicola scarso mentre non perde occasione per insegnarci un po’ di umiltà.

La parete destra ha qualche appiglio, c’è una fessura centrale mentre la parete sinistra è liscia come il muro di casa. Rinviando tutti i chiodi che a mano a mano apparivano comincio a dulferare la fessura nel diedro come non ci fosse un domani. Alzandomi vado cattivo sulla mano smagnesata sulla parete di sinistra. A mio malgrado scopro che è svasa. Maledetti pro climber con le pinze al posto delle mani! Con le lacrime agli occhi e le mutande appesantite torno dove ero prima e valuto una via alternativa. Ritento il passaggio questa volta restando sulla fessura centrale e usando la parete destra, urlo “mi raccomando tienimi” e riesco ad arrivare ad un clessidrone gigante dove in punta di piedi infilo un cordone. Finalmente riesco ad uscire! Proseguendo per la paretina più semplice e arrivo in sosta.

5° Tiro – 1° Parte – Un traverso incerto

Questo tiro comincia con un bel traverso verso destra. Poche mani e ancora meno piedi. Cerco di attaccarlo ma mi arriva la caga e vorrei tornare indietro, ma vedo i miei compagni che mi guardano male e allora riesco a trovare il giusto incentivo per proseguire. Con un paio di svase laterali procedo verso destra, metto un paio di clessidre per la fiducia e poi salgo per la rampettina verso sinistra finendo una decina di metri sopra la sosta. A questo punto dovrei continuare ma la paura è troppa e decido che il tiro finisce qui. Luca e Ale mi urlano che hanno freddo e vogliono andare via in fretta ma io faccio finta di non sentire, mi giro dall’altra parte e mi assicuro alla sosta. A questo punto le urla dei miei compagni si fanno più insistenti:

<<Dai Manu vai ancora avanti>>

<<Nono, meglio che resto qui>>

<<No, ma vai ancora avanti, ti sarai alzato di appena 5 metri>>

<<Già è un miracolo che sia arrivato fin qui>>

<<Non mi pare il caso di sfidare ulteriormente la sorte>>

<<Vabbè dai un altra decina di metri e sei alla prossima sosta>>

<<Se faccio un altro passo mi cago in mano>>

<<ok arriviamo>>

Recupero quindi i miei amici e nel frattempo comincio a capire come procedere.

 5° Tiro – 2° Parte – Un’altra placca, giusto perché se ne sentiva la mancanza

Comincio a sentire i primi segni di cedimento: prima i crampi alle dita delle mani, poi alle braccia, poi alle gambe…. insomma, mancava ancora metà via ed ero già da buttare!

Passata la paura riprendo da dove avevo lasciato e comincio a salire la placca puntando ad un chiodo troppo in alto. Capisco che il ferro non cresca sugli alberi ma il signor Carlesso poteva piantarne un paio in più.

Hai voluto spendere i milioni in Frend e dadi? E adesso li usi!

Il signor Carlesso che con sarcasmo spiega che nella vecchia scuola esistono solo i chiodi. E pochi.

Ma è una placca, non si può proteggere!

Climber brocco della bandacrepacci che malgrado la serie completa di frend e dadi che si porta a dietro non riesce a proteggere la più faccile delle fessure.

Ho qualche attimo di incertezza nella partenza ma con un appoggio nascosto consigliato da Luca riesco a risolvere il problema. Mi alzo sulla placca guardingo e senza abbassare lo sguardo. Sapevamo tutti che Luca non avrebbe consentito ad un altro cambio di formazione! rinvio il chiodo con una lastra di roccia in mano che non dà troppa sicurezza ma bastava appoggiarsi senza tirarla troppo. Procedo verso lo spigoletto fessurato a sinistra. Lo risalgo ed arrivo in sosta.

6°tiro – Boia se c’è freddo

La sosta è formata da una cengetta stretta, lunga appena un metro e un golfaro leggermente alla sua destra, ma non tanto, il giusto per avere i piedi nel vuoto. Non voglio pensare a quante persone tra un po’ si appenderanno qui perché si prospetta un problema ben peggiore: uno strapiombo di V+ che solo a vederlo trasuda onestà. Guardo con occhi dolci i miei compagni di cordata sperando che qualcuno si offra volontariamente di salire da primo ma senza successo, come risposta la Ale mi mette in secchiello e Luca mi ignora girando la testa e guardando da un’altra parte. A questo punto non ho più via di scampo!

Mi preparo mettendo il pail sopra al guscio per ripararmi dal freddo, avrei potuto toglierlo e indossare gli indumeti nel giusto ordine ma questo avrebbe significato dovere sopportare un vento che uragano Victor levate proprio!

Parto a salire obliquamente verso lo strapiombo. Rinvio un chiodo e comincio a studiarlo: afferro la lamona sotto lo strapiombo, poi il pimpolo leggermente più in alto e infine il primo scalino sul terrazzo sopra la pancia. Strapiomba a bestia ma si può fare! Cerco di rinviare ma il ragazzo prima di me ha deciso di fermarsi proprio sul poggiolo dove devo andare io, quindi scendo sotto al chiodo, aspetto che mi lasci lo spazio per salire e riprovo.

Torno sotto al terrazzino, piazzo una rinviata in strapiombo fotonica e urlo alla Ale di bloccare per una sghisata propiziatoria. Quella serve sempre! Ero messo molto bene, con il braccio dritto e il culo in dentro ma di questo non ho una foto.

Ma non ci crede nessuno!

Ciapa e tira!!

I passi piccoli non servono a un cazzo!!!

Gli intrasigenti membri della bandacrepacci

Finchè mi tiro su sento la mano che piano piano comincia ad aprirsi, come se il mio corpo mi volesse comunicare qualcosa, ma lo ignoro e con un urlo poco virile monto sopra il tettino. Con un fiatone di un maratoneta, crampi alle braccia e alle mani dal freddo procedo verso la sosta. Del resto del tiro non ricordo altro. Vuoto totale. Ne io ne gli altri hanno fatto foto di questa parte e le relazioni dicono soltanto “procedere con arrampicata più semplice dritti fino alla sosta V-”. Magari qualcun altro della banda lo ripeterà e potremo fare un’appendice.

7°tiro – Alla ricerca della via incantata

A questo punto il percorso della via non è chiaro, dicono di traversare verso sinistra, salire un paio di diedri su roccia rotta ed arrivare alla sosta successiva. Comincio a spostarmi lateralmente, leggermente sopra la sosta. Trovo una clessidra dove rinviare e studio la parete gialla sopra di me. Più brutta di un’opera d’arte moderna. Non ci sono chiodi in vista quindi ci rinuncio senza neanche provare. Spostandosi ancora di più a sinistra vedo che dietro uno spigoletto c’è un canalino un po’ franoso ma ben gradinato che ispira già più fiducia. Salendo obliquamente verso destra arrivo alla base di un diedrino con un chiodo. Contento di non essermi perso salgo sullo spigolo di destra e mi fermo sulla cengia.

Io mentre studio il canalino della salvezza.
8° Tiro – Dai che è finita

Ormai si sente nell’aria la vittoria: la cima, il panino al rifugio (che è chiuso), il divano di casa… Parto pieno di speranze seguendo la cengia verso destra e poi risalendo un facile canalino di III. Ogni tanto si nascondeva e lasciava spazio a pareti che non promettevano simpatia ma bastava spostarsi un po’ a sinistra e dietro il pilastrino compariva un altro canalino, un po’ sfasciumoso ma non era il momento di fare complimenti. Procedendo in questa maniera siamo arrivati al prato della cima. Credevo che la cima del Baffelan fosse un arido ammasso di rocce e sassi ma pare non sia così. Ci facciamo il classico selfie di vetta e dopo una merenda offerta dal buon Luca (come faremmo senza di lui) procediamo a scendere dalla via normale.

Discesa – La comodità prima di tutto

La normale del Baffelan è una via di arrampicata di I con un passaggio di II. Qualcuno chiede: <<Ma non è meglio che facciamo una doppia>> <<Noo, ci siamo già passati, si cammina>>. Passiamo un paio di anelli di calata ma non ce ne curiamo e cominciamo a scendere seguendo i bolli rossi che troviamo sulla roccia. Tutto va per il meglio se non che ci blocchiamo al passaggio di II. Un salto di un paio di metri scarsi. Mannaggia, siamo la morte dell’alpinismo. Ci fermiamo sul ciglio e studiamo come usicirne senza ossa rotte. La Ale nota un chiodo sulla sinistra e con una azzerata strategica riesce a scendere. Io mi ricordavo che si scendeva facilmente spaccando su una sporgenza della parete ma in quel momento non riuscivo a mettere in pratica la mia idea. Fortunatamente arriva Luca a salvare la situazione e senza soffi spacca e scende facilmente dal salto. Lo seguo e arriviamo al passo alla fine della normale. Ora bastava solo tornare alla macchina ma nessuno era nelle condizioni per sopportare un ghiaione o un canale. Poi si sa che c’è sempre qualcuno che inciampa, qualcun altro che si prende un sasso sul malleolo, un altro che scivola e per evitare qualsiasi disguido abbiamo scelto il sentiero più lungo ma più comodo. Scendiamo nel bosco e in poco tempo torniamo all’auto. Incredibilmente ancora sani.

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